venerdì 22 marzo 2013

Il calcio, la crisi, il circolo vizioso


In Italia il calcio è uno dei settori centrali. I calciatori guadagnano delle enormità, rispetto ai normali lavoratori, ma a chi obietta si dice che quello calcistico è un settore che muove un sacco di soldi e che soprattutto dà lavoro a un’enormità di persone (giornalisti, gestori delle strutture, gestori delle società, ecc.).

Come questo ce ne sono tanti altri: l’Italia, come anche altri paesi industrializzati, si regge sempre di più sul settore terziario, cioè sull’economia dei servizi, piuttosto che sui settori primario (agricoltura) e secondario (industria).

Questo perché:
-          con la meccanizzazione l’occupazione agricola e industriale si è ridotta drasticamente;
-      nel contempo le nuove tecnologie hanno generato nuovi bisogni, creando nuovi settori produttivi e commerciali e spostando forza lavoro;
-    con la globalizzazione, abbiamo appaltato la produzione agricola e industriale ai paesi in via di sviluppo, dove queste sono meno care perché ci sono meno regole, meno diritti e meno protezioni.

Il problema è che il settore terziario si occupa di soddisfare i bisogni terziari, cioè quelli meno legati alla sopravvivenza e più legati allo svago o comunque meno “concreti” (comunicazioni, consulenza, informazione, servizi assicurativi e bancari, gastronomia, servizi commerciali, ecc.).

Quando si presenta una recessione economica forte come quella del 2008, i primi settori in cui diminuisce il consumo sono quelli legati al terziario, e diminuendo i consumi cominciano i primi fallimenti: gli imprenditori chiudono e gli impiegati perdono il lavoro.

Così la crisi si autoalimenta, i consumi delle persone in difficoltà si concentrano sui beni di prima necessità (industriali e soprattutto agricoli), che in un paese che vive sui servizi vengono in buona parte dall’estero (o comunque quelli che vengono dall’estero costano di meno).

Si entra in un circolo vizioso che potrebbe non fermarsi più! Per rispondere ci vuole consapevolezza, presa di coscienza delle cause e competenze: riattivare e proteggere il settore agricolo e quello industriale, prima che sia troppo tardi.

Anche perché le grandi masse non hanno consapevolezza di questi meccanismi, e le loro scelte di sopravvivenza si orientano automaticamente proprio verso quella direzione che porta il sistema al collasso. Non si preferiscono i prodotti italiani, perché non sono i meno cari, e quindi…

giovedì 21 marzo 2013

Basta col PIL


Il prodotto intero lordo (PIL) non ha niente a che fare con il benessere dei cittadini di un paese: il PIL rappresenta solo il valore totale di tutti i beni e servizi finali prodotti in un paese.

Questo valore non corrisponde esattamente al reddito dei lavoratori di un paese, e il suo aumento, ossia la fantomatica “Crescita”, non ci da necessariamente indicazioni positive sull’aumento dell’occupazione: con la crescente meccanizzazione della produzione, infatti, si potrebbe far aumentare il PIL riducendo i lavoratori occupati, sostituendoli con le macchine.

Gli economisti classici hanno sempre sostenuto che la meccanizzazione della produzione non avrebbe aumentato la disoccupazione, perché ai lavoratori non qualificati (che vengono sostituiti dalle macchine) si sostituiscono i lavoratori qualificati (che le macchine le progettano e le riparano). Come al solito quindi le teorie economiche rimangono nel mondo della fantasia e non considerano mai la dimensione temporale:
-          che fine fanno nell’immediato i lavoratori che perdono il lavoro?
-          quanto ci vorrebbe (e sarebbe possibile?) farli diventare lavoratori qualificati?
-          quante persone ci vogliono per progettare le macchine che hanno sostituito gli uomini? Lo stesso numero che prima svolgeva il lavoro manuale o più verosimilmente molte di meno?

Il PIL poi non ha niente a che fare con il benessere puro dei cittadini, inteso come felicità, soddisfazione. Risale al 1974 lo studio di Easterlin, economista americano che dimostrò come oltre un certo livello di ricchezza del sistema paese e di reddito individuale la felicità delle persone non aumenta, e in alcuni casi diminuisce.

Da allora si sono moltiplicati gli studi che hanno dimostrato come i paesi più felici del mondo non siano necessariamente i più ricchi. Ma questa nuova branca di studi, definita economia della felicità, è rimasta da sempre in secondo piano, e i governi dei paesi industrializzati non hanno praticamente mai preso in considerazione la questione (a parte il premier inglese Cameron).

In Italia figuriamoci… mai considerata la felicità dei cittadini, si è presa a riferimento la sola crescita del PIL quando si sarebbe dovuto considerare molto di più non solo la quantità di occupati, ma soprattutto la qualità dell’occupazione. E ora non solo gli occupati sono sempre di meno, ma una enorme parte sono precari, in nero, o a rischio di licenziamento.

La sopravvivenza di una società ha molto poco a che fare con i numeri, e molto dipende dalla qualità della vita dei suoi componenti: sembra un concetto banale ma forse, proprio perché banale, è stato dato veramente troppo per scontato.

sabato 9 marzo 2013

Il signoraggio 2: Che valore hanno i nostri soldi?


Il meccanismo di creazione della moneta che parte dalla banca centrale presenta un altro grande paradosso: il potere conferito alle banche private di creare a loro volta moneta, avviando un processo potenzialmente infinito!

Il paradosso, che viene tranquillamente spiegato nelle facoltà di economia come fosse la normalità, è forse più facile spiegarlo con un esempio.
La BCE decide di creare 100 euro di moneta, e per immetterli nel mercato li presta interamente alla banca A.
questa a sua volta li presta al sig. rossi, che fa l’imprenditore e che sta aprendo una nuova impresa. 50 euro il sig. rossi li spende per acquistare i macchinari necessari alla sua produzione dal sig. verdi. Gli altri 50 li spende per pagare il suo unico dipendente, il sig. bianchi. Il sig. verdi deposita i 50 euro ricevuti dal rossi in un’altra banca, la banca B. Quest’ultima non è costretta a tenerli in cassaforte tutti, deve solo essere sicura di avere i contanti necessari quando il sig. verdi vuole prelevarli. In Europa le banche sono obbligate a tenere in cassaforte in contanti solo il 3% di tutti i depositi che ricevono, normalmente ne tengono un po’ di più, sulla base delle statistiche che si fanno, ma con l’avvento della moneta elettronica la percentuale di riserva di denaro materiale si abbassa sempre di più.

Supponiamo che la banca B tenga il 10% di riserve: significa che dei 50 euro depositati dal sig. verdi, 5 li deve tenere in cassaforte, ma 45 li può riprestare a un altro imprenditore, chiamiamolo sig. tizio. Supponiamo che anche il sig. bianchi depositi i suoi 50 euro alla banca B, che ne ripresta 45 al sig. caio.

Ecco che dopo solo due passaggi i soldi si sono moltiplicati: la banca centrale ha deciso di creare 100 euro, ma adesso il sig. verdi possiede 50 euro, il sig. bianchi altri 50, il sig. tizio 45 e il sig. caio altri 45: in tutto, sul mercato ci sono 190 euro.

Se tutti e quattro i personaggi volessero prelevare allo stesso momento tutti i loro depositi? La banca B non potrebbe ridarglieli non perché non ne ha la disponibilità immediata in cassaforte, ma perché 90 euro su 190 non esistono, non sono mai esistiti e la loro esistenza non è garantita da nessuno.

Tutto si regge su un accordo tacito di cui la maggior parte dei cittadini non è assolutamente consapevole.

mercoledì 6 marzo 2013

L'istruzione omologante


L’istruzione che riceviamo fin da piccoli ha il solo effetto di appiattirci e renderci tutti uguali: tutti imprigionati dietro a un banco in attesa di un sapere che ci viene imboccato dall’alto.

Tutti vogliosi di scoprire e valorizzare le nostre personalità, le nostre peculiarità, e tutti castrati del nostro senso critico e della nostra energia creativa.

Così arriviamo a 18 anni avendo ricevuto tutti le stesse informazioni, avendo vissuto forzatamente le esperienze nello stesso modo. Non siamo stati incentivati ognuno a sviluppare la propria e unica personalità, le proprie tendenze, le proprie passioni, le proprie abilità innate; al contrario siamo stati amalgamati l’uno con l’altro.

E a 18 anni di punto in bianco ci si dice:”bene! Ora che SAI tutto quello che devi SAPERE, che hai ricevuto uno sguardo imparziale e acritico su tutto lo scibile umano, ora scegli cosa vuoi essere!”

E noi, che non abbiamo più alcuna idea di chi siamo, ci sorprendiamo anche di non sapere più da che parte andare…
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